Il Ministero dell'Interno ha diramato la circolare n. 19 del 15 novembre 2016 con le istruzioni applicative in ordine alla possibilità per i coniugi di farsi rappresentare da un procuratore speciale per separarsi o divorziare dinanzi all'ufficiale dello stato civile, ai sensi dell'art. 12 del D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014 n. 162).
La circolare (reperibile al seguente link) chiarisce che non è consentito alle parti farsi rappresentare da un procuratore speciale nella suddetta procedura, non potendosi applicare in via analogica la disposizione valevole per i procedimenti di divorzio (art. 4 comma 7 l. n. 898/1970), che invece consente tale modalità di comparizione dinanzi al Presidente del tribunale qualora ricorrano “gravi e comprovati motivi”. In quella sede è infatti previsto un controllo giudiziale in ordine alla sussistenza dei “gravi” impedimenti mentre nel procedimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile è richiesta chiaramente la comparizione personale delle parti, al precipuo scopo che siano garantite la genuinità e l’attualità delle loro dichiarazioni.
La posizione del Ministero è in dichiarato contrasto con il provvedimento emesso dal Tribunale di Milano del 14 dicembre 2015 (reperibile online su www.dirittifondamentali.it) che, all’esito di un procedimento instaurato ex art. artt. 95 e 96 del d.P.R. 396/2000, ha annullato il rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile a ricevere le dichiarazioni di divorzio di una coppia di coniugi, uno dei quali era rappresentato da persona munita di procura consolare.
Accedendo alla motivazione di quest’ultimo provvedimento è possibile rilevare come tale decisum sia fondato prevalentemente sulla ratio di degiurisdizionalizzazione e semplificazione che sorregge l’intera nuova disciplina. Tali scopi, secondo il giudice di merito, sono realizzabili da un lato, munendo “gli utenti del servizio” delle stesse possibilità di agire che verrebbero loro riconosciute in sede giurisdizionale e, dall’altro, consentendo un accesso non “rigido” ma semplificato alle procedure alternative.
Il Ministero però, anche sulla scorta di un analogo parere del Dicastero della Giustizia, ha ritenuto che in questo caso non possa farsi ricorso all’interpretazione teleologica asseritamente effettuata dall’organo giurisdizionale. La norma di cui all’art. 12 d.l. 132/2014 appare infatti sufficientemente chiara nella sua lettera e richiede la comparizione “personale” delle parti dinanzi all’ufficiale dello stato civile, senza eccezioni.
Nel procedimento di divorzio, d’altronde, la verifica dei gravi e comprovati motivi che impediscono la comparizione personale di una delle parti è delibata dal Presidente del tribunale, con le garanzie del processo, attività che a parere di chi scrive, non potrà mai richiedersi all’ufficiale che riceve la dichiarazione dei coniugi, stante il suo ruolo di mero certificatore.
Ciò che va invece salvaguardato nel procedimento amministrativo de quo – afferma il Ministero - è la genuinità (id. la certezza di attribuibilità) nonché l’attualità (id. la sussistenza di quella precisa volontà nel momento storico in cui viene esternata) della dichiarazione negoziale delle parti, finalità queste perseguibili solo attraverso la prevista comparizione personale.
Il che serve a confermare che il negozio familiare stipulabile dinanzi all’ufficiale dello stato civile ha preminente (e oserei dire esclusiva) natura personale.
Ciò giustifica a maggior ragione il divieto di "patti di trasferimento patrimoniale", contenuto nel comma 3 dell'art. 12 d.l. 132/2014, che secondo la recente sentenza n. 4478 del 26 ottobre 2016 del Consiglio di Stato non impedisce alle parti di inserire eventuali assegni periodici di mantenimento o di divorzio ma solo di stipulare trasferimenti una tantum.
Va segnalato in proposito che la discussa circolare n. 6 del 24 aprile 2015 del Ministero dell'Interno, nell’impartire le istruzioni per “l’uniforme ed omogenea applicazione sul piano nazionale delle nuove norme”, precisa che “l’ufficiale dello stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti, senza entrare nel merito della somma consensualmente decisa, né della congruità della stessa”.
Il che significa che nessuna valutazione potrà mai essere compiuta dall’ufficiale dello stato civile, neppure di fronte ad un’evidente disparità (culturale, economica, sociale) delle parti “dichiaranti”.
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